Che fine ha fatto il mio io? Quello di Francesco Paolantoni non si è perso nel matrimonio, ma se lo chiede nel corso degli spettacoli teatrali a cui la domanda dà il titolo. Il comico partenopeo torna sui palcoscenici con la tournee che, attraverso il coinvolgimento dell’ignaro pubblico, percorre tutti i linguaggi della comicità, per dare vita a un percorso terapeutico, tra test e cure improbabili. Si va dalla idroterapia alla musicoterapia, dalla poco probabile sesso-terapia alla cromoterapia, per culminare in una divertente favola-terapia dove Paolantoni diverte fino alle lacrime. Non solo, lo scorso novembre ha sorpreso il pubblico svelando un lato sconosciuto a molti, il suo talento per il disegno. Ha partecipato alla mostra Pane al Pan, insieme a oltre 40 mosaici, realizzati con molliche di pane, esposti presso il Palazzo delle Arti Napoli.
Dietro queste opere c’è un messaggio sociale, ce lo può spiegare?
Collaboro con la Fondazione Polis, che si occupa di combattere la mafia, e l’Unipan (Unione panificatori campani, ndr), da sempre schierata a favore della normativa del confezionamento del pane della Regione Campania, nel rispetto dei consumatori e della loro salute, per sensibilizzarli a un uso critico del pane, che spesso ha alimentato l’economia illegale della camorra. Ecco perché sono realizzate con dadini di pane essiccato.
Qual è la sua favola preferita?
Beh! Sono un cinico, lo sono diventato. Disincantato e demotivato. Le favole, o meglio una loro dissacrante rivisitazione è inserita proprio nello spettacolo Che fine ha fatto il mio io. Così la storia di Cappuccetto Rosso (che vuol farsi chiamare Olga) si intreccia con i Sette Nani, con Biancaneve che fa le bizze e manda in terapia la Strega Cattiva, mentre i Tre Porcellini sono ben altro rispetto a quel che offre il racconto noto a tutti i bambini. Favole in cui la bella addormentata, il principe azzurro o lo sfortunato Pollicino, finiscono per sprofondare in defecazioni o per morire.
Francesco Paolantoni crede nel matrimonio?
No! Sono riuscito a capire che l’entusiasmo iniziale non dura per sempre, si trasforma in stanchezza e inimicizia
Le piacerebbe immaginare insieme a noi come sarebbe stato il giorno del suo “sì”?
Mi sarei divertito a inventare una bella festa, per non far soffrire gli ospiti, che già subiscono la punizione di dover tirare fuori soldi non previsti per il regalo, di questi tempi è drammatico. Sarebbe stato in autunno, per evitare il caldo e la cattiveria dei matrimoni di luglio, lontano dallo stereotipo napoletano e non mi sarei offeso se qualcuno avesse disertato.
Di mattina o pomeriggio, all’aperto o in un castello? E il menù?
Di pomeriggio con una durata bene precisa, per le 21 tutti a casa. All’esterno, sul mare e un pranzo a base di pesce preparato da uno chef stellato. Niente cucina fusion o giapponese.
Abito e bomboniere?
Un vestito casual e come regalo agli ospiti un semplice e divertente ricordino!
Raffaella Maffei
Direttore responsabile Fables